mercoledì 18 giugno 2008

PER L’UNITA’ DEI COMUNISTI

PER L’UNITA’ DEI COMUNISTI
L’innegabile batosta elettorale delle politiche 2008 ha confermato, ove ve ne fosse bisogno, la incapacità da parte dei partiti della Sinistra Radicale di essere riconosciuti come reale forza di cambiamento. Ne è testimonianza, purtroppo, l’incapacità in questi due anni di Governo Prodi di difendere gli interessi delle classi operaie e popolari assumendo, anzi, ad oltranza, posizioni lontane da quelle che erano le aspettative di quell’elettorato che, ancora una volta, aveva provato a dare fiducia ad una coalizione eterogenea e che aveva, forse, come unico elemento aggregante, l’anti-berlusconismo. E’ sufficiente ricordare: lo scandalo dell’indulto, lo scippo del tfr, l’aumento dell’età pensionabile, l’aumento delle spese militari, la mancata abrogazione della legge Biagi, né la Bossi-Fini.
Allo stesso modo, i partiti che si erano contrapposti alla “Sinistra l’Arcobaleno”, PCL e Sinistra Critica, non sono riusciti a convogliare, né a capitalizzare il patrimonio comunista che si è sentito tradito, non riconoscendosi neanche nella più semplice e storica (ma pur sempre importante) simbologia della “Falce e martello“.
Qual’è il risultato finale?
-La mancanza, per la prima volta nella Storia della Repubblica Italiana, di un rappresentante della Sinistra in Parlamento;
-L’assenza della Sinistra dai suoi insediamenti sociali naturali, lasciando il popolo comunista disorientato ed i lavoratori in balia delle classi padronali sempre più ingombranti;
-La frammentazione e la conseguente nascita di mille partitini, associazioni, movimenti e leaderini, l’abbandono dalla scena politica di tanti bravi, veri e leali compagni.

Allora dobbiamo dire basta a tutto quello che è la diretta conseguenza di quanto lasciatoci in eredità dalle varie “classi dirigenti nazionali e locali”.
Il PdCI ed il PRC avranno i propri congressi dove mi auguro, vengano azzerate quelle classi dirigenti che, dopo aver dettato linee programmatiche perdenti, ritengono di riavviare un nuovo progetto politico ripartendo dalla loro ingombrante ed ambigua presenza. Saranno i propri iscritti e militanti a determinare il futuro di questi partiti, sancendo o meno la scomparsa definitiva di quelle idee che aggregarono milioni di italiani intorno al Partito Comunista.
A noi Associazioni, a noi semplici compagni comunisti che non rinnegano né la storia né la gloriosa “falce e martello“, alle migliaia di compagni che, dopo la fase dello sconforto, ricompare la voglia e la determinazione a fare, cosa compete?
Siamo chiamati a fare quello che ognuno di noi ritiene, oggi più che mai, improcrastinabile: dare vita finalmente alla Costituente Comunista!
Non più la costituente comunista molisana o calabrese, il coordinamento di questa o quella realtà territoriale.
Dobbiamo costruire, dal basso, non un contenitore elettoralistico o del leader di turno ma una presenza forte diffusa su tutto il territorio nazionale, che si riappropri di quegli spazi dell’agire politico che troppe volte abbiamo lasciato in balia delle forze padronali e reazionarie.
Il primo punto potrebbe essere quello di creare una rete nazionale tra tutte le organizzazioni che si riconoscono nello stesso progetto, mettendo insieme quelle che sono le realtà territoriali e le esigenze ad esse collegate.
L’invito è quello di dare vita ad un grande appuntamento nazionale in cui poter discutere del nostro futuro, lasciando a tutti la possibilità di portare le proprie esperienze per costruire una costituente comunista, capace di misurarsi con quelle che sono le reali esigenze che il XXI secolo ci lancia come sfida.
Se si ritiene opportuno tale appuntamento, noi molisani ci rendiamo disponibili all’organizzazione dell’evento in una data da concordare con tutti i movimenti e le associazioni.
Non è più il momento del recriminare; è, invece, il momento del fare! Insieme, e solo insieme, potremo farcela ancora una volta.

Michele Giambarba
Presidente della Associazione Politico-Culturale
“ Per la Costituente Comunista” MOLISE
328 8158044

martedì 10 giugno 2008

Pubblichiamo la relazione di Marco Rizzo alla serata PROLETARIA di sabato 7 giugno presso il CSOA INTIFADA, organizzata dal Coordinamento per l'Unità dei Comunisti - Roma Est

Perchè è successo? Dalla fine di questa sinistra, per una nuova fase di riscossa proletaria, per la costruzione del Partito Comunista.
Questa è un’epoca di mutamenti complessi e profondi. Forse non c’è stato mai un altro periodo che abbia concentrato in così poco tempo un così alto tasso di mutamenti tecnologici, delle culture, della comunicazione e dello stesso "senso comune" della vita sociale. Il futuro appare meno prevedibile, e questo accade principalmente nei paesi e per i popoli più ricchi, quelli cioè con forti tradizioni e plausibili certezze: in sostanza nell’occidente industrializzato, ma in particolar modo l’Europa e di certo l’Italia.
La globalizzazione capitalistica è il frutto di decisioni economiche e politiche internazionali relative alla liberalizzazione dei mercati e agli investimenti transnazionali, in vero esiste da sempre come tentativo di concentrare sempre di più il comando del capitalismo, ma se nel passato più recente i processi produttivi avevano una base sostanzialmente nazionale, oggi la "produzione totale" è stata allocata a livello planetario, costruendo una nuova classe con una unica dimensione, quella internazionale. In tal senso, di fronte al dispiegarsi delle contraddizioni economiche, sociali ed ambientali che emergono nel mondo, le politiche nazionali hanno evidenziato tutta la loro debolezza. Questi mutamenti hanno modificato profondamente le condizioni di classe, tanto più nell’Occidente provocando cesure nette non solo nel confronto tra materialità e forma del lavoro, ma anche nella percezione dell’identità e della coscienza di classe stessa. Li vediamo tutti i ragazzi a "partita iva" con la giacca e la cravatta a pensar di esser nuovi imprenditori e a non vedere soluzione per il livello di nuovo sfruttamento senza diritti cui sono sottoposti.
E’ proprio dentro questo contesto che in Italia si è concretizzata la fine della sinistra in termini ideali e culturali prima, politici e di rappresentanza poi.
Da tempo ormai nel nostro paese è l’economia che detta le regole e definisce il contesto a tutto e a tutti. In una società in cui trionfano solamente la competitività, la primitiva legge del mercato e l’esaltazione del vincente, non ci si può poi stupire se la destra trionfa.
Perchè i lavoratori e gli strati più deboli della popolazione non solo non votano più a sinistra ma addirittura tra di loro hanno quasi perso di credibilità le stesse opzioni anticapitaliste e comuniste?
Alla fine degli anni ‘60 gli operai arrabbiati nei confronti di una sinistra forte ma ancora "tiepida" verso di loro e nei confronti di un sindacato presente ma non sufficientemente battagliero, obbligarono entrambi a diventare decisamente più combattivi. Arrivò infatti la stagione dell’ "autunno caldo"e del "potere operaio", che tante conquiste sociali e civili portò. Oggi invece tra "la nostra gente" l’amarezza è tale che interi settori di proletariato si sentono perduti e si aggrappano non a possibili soluzioni del loro profondo disagio, ma a disvalori e stili di vita che li "consolano" artificialmente: identità territoriale, sicurezza, individualismo e demonizzazione del diverso.
I ragazzi delle periferie incamerano subito questo concetto: chi perde è perduto, contano i soldi e conta solo farli, non importa in che modo, in alternativa eventualmente conta il sembrare forti e spietati.; così si hanno delle nuove generazioni che si dividono tra il "rampantismo" per pochi ed il "bullismo" e la pratica del "branco" per molti.
Una violenza fine a sè stessa assume nelle periferie improbabili rituali nazifascisti, ma alla fine, tutti tornano col cellulare ultimo modello nelle loro case fatiscenti ai margini delle città, miseri appartamenti con tre televisori sempre accesi, nessun libro e soprattutto nessuna solidarietà e nessuna socialità.
Falsi miti di un "arianesimo straccione" che producono disvalori e arroganze, angosce e miseria. A nessuno deve essere consentito di consumare una nuova generazione nella vecchia pratica degli "opposti estremismi" invece che nella lotta al capitale!
La globalizzazione capitalistica comporta da parte dei poteri forti - finanza, élites economiche e politiche, comunicazione - il totale abbandono dei territori di periferia, di quasi l’intero mezzogiorno e di tutte le comunità proletarie, e mentre questi limiti e contraddizioni si manifestano, la competizione interimperialistica si evidenzia nella instabilità internazionale e nella guerra, intesa appunto come unico "mezzo" per risolvere le controversie politiche. E dentro questi processi, la sinistra dov’era e dov’è? Purtroppo inseguiva ed insegue il "nuovismo", ed in questo profondo processo di sradicamento, invece di riconquistare i territori abbandonati a se stessi, invece di ricompattare le comunità distrutte, si è al contrario impegnata ad apparire moderna, liberal e non violenta. Sí! Era contro la globalizzazione, ma guai ad apparire anche un poco critica nei confronti del processo d’integrazione europeo. Sì! Era contro la guerra,ma ma mai contro fino in fondo alle cosidette "missioni di pace" dei governi di centrosinistra.
Una sinistra che si è in sostanza appiattita sui comodi privilegi istituzionali e sui proclami astratti per i diritti borghesi, piuttosto che impegnarsi rivendicando obiettivi nella vita quotidiana.
Le sezioni del partito comunista a Torino e al Nord, durante i fenomeni migratori interni degli anni ‘60 e ‘70, diventarono luoghi di nuova comunità e organizzazione per quei contadini tolti al Mezzogiorno; erano i tempi in cui si urlava: "Nord e Sud uniti nella lotta".
Così come le sezioni dello stesso partito, durante gli spaventosi terremoti che colpirono il Friuli e l’Irpinia, misero in moto una straordinaria macchina di aiuto e di solidarietà, così come ancora quella forma della militanza interveniva concretamente in ogni meandro di lotta: dal territorio metropolitano alle aride campagne. Oggi invece si protesta a parole, e sempre meno, contro il lavoro che non c’è e che uccide, il precariato e la xenofobia, mentre ci sarebbe bisogno di risposte realmente alternative che coinvolgano di nuovo la "nostra gente", costruiscano forme di solidarietà ed anche reti organizzative.
I fascisti e la destra fanno le "ronde", danno risposte inefficaci e repellenti, ma la sinistra cosa propone? Pensare ai diritti per la costruzione di una moschea va bene, ma non basta!
Sarebbe meglio costruire coscienza dei diritti sindacali e di classe degli immigrati, aiutare la loro trasformazione da individui a nuovi soggetti del conflitto. Solo cosi diventerebbero parte di noi e non altro da noi.
L’accoglienza è una nobile pratica dei cattolici, i comunisti devono in più stabilire un rapporto strategico con gli immigrati sfruttati. Il capitalismo è cambiato e ha cambiato il mondo e l’Italia; purtroppo non ci si accorge di avere ormai un "terzo mondo interno", così come ci si dimentica della teoria attualissima "dell’esercito industriale di riserva" che oggi ha solo un altro colore della pelle.
Apriamo le nostre ormai rare sezioni, trasformiamole in luoghi di lotta, di solidarietà, di cooperazione sociale perchè è da questi "buchi" nelle periferie che è nata la crisi della rappresentanza democratica della sinistra e dei comunisti.
Ci fosse stata una progettualità simile non si sarebbe persa Roma, e invece hanno ripresentato e, accettato di far ripresentare, il "replicante" Rutelli, dentro un modello di piccoli privilegi del ceto politico della sinistra da una parte ed un modello di comando sulla città, fondato in alleanza con i costruttori edili e la speculazione finanziaria, dall’altra.
Le notti bianche e la festa del cinema non hanno dato certo risposte alle periferie, le cui condizioni di vivibilità sono state cancellate in termini di devastazione lavorativa, ambientale, psichica e individuale.
Nel dopoguerra il forte limite che veniva contrapposto al capitalismo era la resistenza organizzata da parte del movimento operaio che si manifestava attraverso lotte e conquiste ed anche con un "senso comune" fortemente identitario pure nella vita quotidiana.
Il partito comunista, il sindacato ed i movimenti costituivano forme diverse di rappresentanza che avevano il compito di salvaguardare e consolidare la forza dei lavoratori, unica trincea della società contro la violenza del capitale.
L’evoluzione del capitalismo, unita alla contraddittoria caduta del "campo socialista" e al "tradimento" del ceto politico della sinistra, ha provocato una resa della capacità contrattuale del mondo del lavoro ed ha consentito l’affermarsi di una forma di "dittatura" del capitale: la logica del profitto non deve più rispettare alcuna legge, non vi è nulla che possa contenerla.
La precarietà è diventata l’unica forma di lavoro in quanto il capitale non ha più bisogno di contrattare alcunché (vedi la fine del contratto nazionale di lavoro, voluta anche dalla maggioranza della Cgil), mentre l’intera scena istituzionale si sta ormai completamente americanizzando con due soli partiti oligarchici e plebiscitari come vaticinava il boss della P2 Licio Gelli.
Il capo del governo e quello dell’opposizione si elogiano a vicenda, intanto che maggioranza e opposizione si mettono d’accordo praticamente su tutto. Questo avviene anche perchè negli ultimi quindici anni, la "sinistra" ha potuto governare più volte (ed era giusto pure provarci, magari senza arrivare ad accettare la guerra contro la Jugoslavia su cui bisogna fare una netta autocritica)) ma il risultato è stato che ogni volta ha saputo solo continuare l’azione della destra, diminuendo ogni difesa sociale, per rendersi strumento di sottomissione al profitto. E’ successo due volte nell’Italia di Prodi, così come nella Gran Bretagna di Blair e nella Germania di Schroeder.
"Democrazia vuol dire potere agli operai" recitava uno slogan dei primi anni ‘70, quando i rapporti di forza nella società parevano volgere al meglio per le classi proletarie. Era una formula un pò rozza, ma in realtà rendeva bene il senso della richiesta: la democrazia è il luogo in cui i lavoratori possono scontrarsi contro il capitale contando su proprie forze organizzate, e al tempo stesso la società può conservare una relativa autonomia rispetto all’economia predatoria del profitto.
Per troppo tempo non abbiamo più potuto né scegliere né identificare la destra e la sinistra in rapporto al capitale e al lavoro, e per quale motivo dovremmo ora, parlando della ricostruzione, non attenerci rigorosamente a idee, a contenuti e a forme organizzate che tengano conto di questa durissima lezione? Perché dovremmo rimpiangere questa sinistra, che quando era al governo (pensiamo agli ultimi due anni del governo Prodi con quasi un centinaio di deputati e senatori comunisti) non ha saputo eliminare neppure una delle leggi berlusconiane, né ha saputo impedire il massacro sociale del TFR, del Welfare e delle pensioni? Per non parlare poi della subordinazione atlantica ed europea alle guerre imperialiste! Perchè dovremmo ricostruire una sinistra e ancor di più un nuovo partito comunista se non partendo dall’analisi degli errori del passato? Perciò bisogna non costruire un nuovo ceto politico autorappresentativo, del quale più nessuno avverte il bisogno, ma una nuova struttura di resistenza e attacco al servizio delle nuove classi proletarie.
Oggi il lavoro è in frantumi ed in più è diventato una merce come le altre. Dove una volta c’era un’azienda con un unico contratto sindacale, oggi c’è ne sono dieci, dal part-time al lavoro interinale. Dove una volta c’erano i settori produttivi, dall’agricoltura al terziario, oggi esiste una "mucillaggine" produttiva.
Il lavoro frantumato non è politicamente né visibile né percepibile. Questa è invece la visione ideologica e identitaria tra vecchi e nuovi lavori che bisogna ristabilire.
Fare una dura critica al "lavoro come merce" significa parlar chiaro e cioè ricordare ai legislatori, sia di centrodestra che di centrosinistra,che se un automobile o un frigorifero si possono sostituire o rottamare così non si può fare con le persone in carne ed ossa. Cosa che purtroppo avviene nelle leggi e nelle relazioni sindacali che informano oggi il mondo del lavoro.
Si tratta di costruire un "filo rosso" che colleghi tutte le situazioni di lavoro; alla politica spetta la capacità di offrire un "fuoco" intorno a cui costruire, per unire la ricchezza di esperienze, di rappresentanza sociale e di movimento che le contraddizioni odierne del mondo del lavoro fanno emergere con grandi potenziali di lotta; al sindacalismo spetta la rappresentanza dei lavoratori e del conflitto e quindi diventa fondamentale un impegno decisivo sulla rappresentanza sindacale basato anch’esso sul principio "una testa, un voto", con buona pace di un certo sindacalismo confederale teso proprio a garantire la propria riproduzione.
Fare questo vuol dire anche stabilire un’idea per un nuovo inizio.
Finchè si farà politica ,o più semplicemente si andrà a votare, per soddisfare le individualità, vincerà sempre la destra o prevarrà una falsa sinistra, perché il mestiere della destra è "parlare al ventre delle persone e dare voce agli egoismi". Quando invece si tornerà a militare per il "bene comune", per la collettività e quindi per una idea, la politica di una vera sinistra potrà tornare se non a vincere almeno a combattere e ad appassionare.
Per questo serve attaccare duramente chi, specie a sinistra, continua con l’elogio del libero mercato. Qui in Italia chi lo fa non si accorge neanche che così non si selezionano neanche i migliori, anzi è quasi regola il contrario. Basti vedere le elites delle professioni prive di ogni mobilità sociale (se sei figlio di un operaio farai l’operaio, se sei figlio di notaio seguirai la professione paterna). Addirittura nel mezzogiorno ed in altre parti del paese esiste una sorta di società "al contrario" dove sono puniti gli onesti e premiati i delinquenti.
Per non parlare della critica che bisogna fare al capitalismo in quanto responsabile del collasso ambientale del pianeta, una sorta di "comunismo salvatore" si imporrà prima o poi
per la sopravvivenza, perché il pianeta ha dei limiti, le sue risorse non sono infinite. Questo
è uno dei motivi innovativi che anima la "rinascita" del continente latino-americano.
Seguendo la irriducibile lotta di Cuba e della rivoluzione castrista, le classi dirigenti di larga
parte di quelle immense terre hanno scelto il socialismo del XXI secolo, da Chavez a
Morales, passando per Correa sino a Lula, sono tutti impegnati in questo coraggioso
processo di emancipazione dagli USA e dal famelico e distruttivo modello di sviluppo
yankee.
Il PCI divenne più grande quando abbandonò il carattere ideologico a favore di quello programmatico? Sarà anche vero in parte, ma erano certo altri tempi, con altri rapporti di forza e poi chi ci dice che il disastro di oggi non nasca proprio da lì, cioè da quando le anticipazioni della cosiddetta "contaminazione" della Bolognina favorirono la quasi integrale sostituzione dei quadri dirigenti di origine proletaria provenienti dalla Resistenza con personaggi figli della borghesia ?
E poi ancora sempre guardando al passato, non è forse vero che il progressivo appannarsi della diversità comunista ed il graduale inserimento del PCI nella logica del "sistema dei partiti" aprirono la strada , tra il 1976 ed il 1979, con i governi di "unità nazionale" all’inizio e al consolidarsi della "mutazione genetica" di quel partito? Non sarà un caso che quelle vicende siano state vissute come un "tradimento" da parte di coloro che il !5 giugno 1975 (data della conquista delle grandi città: Torino, Roma e Napoli ebbero per la prima volte un sindaco comunista) si erano accostati per la prima volta al PCI.
Lo storico Giorgio Galli ha scritto "…in quel periodo, la scelta astensionistica rispetto al governo da parte del PCI – ambigua e deludente comunque la si voglia considerare – avvenne proprio mentre fervevano spinte innovative nella società italiana, che proprio il voto delle amministrative del 1975 e le politiche del 1976 aveva confermato. Tale vicenda saldò la frustrazione della base PCI a quella dei militanti della nuova sinistra senza peraltro"recuperare" i gruppi conservatori (per i quali il ruolo del PCI non può che essere all’opposizione e mai essere legittimato a governare né a partecipare ad una qualsiasi forma di maggioranza parlamentare)". Chissà quanto questo avrà pesato nell’adesione giovanile quasi di massa al fenomeno del terrorismo di sinistra.
E’ altamente probabile che i margini concessi dal Kejnesismo alle politiche redistributive del PCI si siano bruscamente ridotti per poi scomparire del tutto con l’arrivo delle nuove tecnologie e, soprattutto, con il neoliberismo che non sopporta più neanche la benché minima politica di riformismo sociale. Non sarà un caso se nel decennio che va dal 1968 al 1977 i forti movimenti cercarono, con un forte scontro sociale, di ritardare quell’ondata di privatizzazioni e di liberismo che, in Italia, giunse almeno con una decina di anni in ritardo rispetto alla quasi totalità degli altri paesi europei.
Negli anni a venire venne distrutto, mattone dopo mattone, pezzo dopo pezzo, ogni bastione di idealità e di pasione politica. Anche i simboli lasciarono il posto ai nuovi totem del pragmatismo e della governance. Quello che è accaduto nell’aprile 2008 però è stato qualcosa di più che la mancanza di un simbolo, certo fondamentale, come la "falce e martello". Quello che è mancato e su cui invece si è basata la destra, è stata la forza, la coerenza, la bellezza di un’ideologia di riscatto dei più deboli che oggi non c’è più.
Infatti per tornare ai tempi del "nuovismo" nel PCI, periodi in cui molti hanno lavorato per schiantare ogni barlume di identità proletaria, da allora ad oggi, la strada in negativo è stata tutta percorsa. Se ad un operaio del Nord dici per oltre vent’anni che le ideologie non esistono più; se ogni volta che governa la sinistra fa una riforma delle pensioni che lo frega; se gli porti via il TFR; se gli consegni un sindacato sempre più concertativo e se infine lo fai rappresentare anche plasticamente da dirigenti come Rutelli, Fassino o Bertinotti non risulta poi così difficile che quell’operaio faccia un semplice ragionamento e dica: "non mi difendete più, non mi rappresentate più, almeno le tasse che pago per uno stato troppo inefficiente, lasciatemele qui" e che dunque voti anche la Lega. L’impopolarità del governo di Prodi è stato anche questo.
In questi ultimi due anni di governo infatti questo processo si è moltiplicato indefinitivamente, deteminando poi le premesse del disastro. Mentre i lavoratori, i precari, i pacifisti, i giovani di Genova, le popolazioni della Val di Susa e di Vicenza si sono sentiti traditi ed abbandonati.
Eppure di segnali ne erano arrivati! I fischi indirizzati ai sindacalisti alla Fiat Mirafiori erano infatti il sintomo di una classe operaia che non si sentiva più rappresentatala da una sinistra che "tanto diceva e che nulla faceva". Nel migliore dei casi erano "strilli" sulle agenzie stampa subito sedati dalle "rassicuranti" interviste in cui si ricordava che "mai si farà cadere il governo".
Ricordate quel 9 giugno dell’anno scorso, quando come quartieri generali della "sinistra radicale" ci si ritrovò a Roma in una Piazza del Popolo deserta, soli mentre il nostro popolo, in oltre centomila persone, aveva giustamente scelto di manifestare contro Bush, al di là delle indicazioni di subalternità e compatibilità col "governismo"?
E poi ancora l’ultimo grande segnale dato dalla manifestazione del 20 ottobre: un milione in piazza per chiedere ai due partiti comunisti al governo di dimostrare la loro identità, commisurandola alla loro "utilità sociale" nella battaglia contro il pessimo protocollo su pensioni e welfare!
Ed anche lì nessuna comprensione di cosa stava accadendo, poi ancora la miopia sull’abolizione della "falce e martello"e di quello che rappresentava ed infine è arrivato lo tzunami.
Ora si riparte , ma, per favore, non facciamo più errori!
Lo spazio è breve, ma alcune verità si possono ricordare in poche righe: la sinistra istituzionale è stata vittima del "voto utile"? In parte certo, anche perché notandosi poco la differenza tra PD e Arcobaleno, molti hanno votato l’originale (tanto più con premio di maggioranza) e non la fotocopia. Però anche l’UDC era minacciata dal voto utile e invece ha preso addirittura più voti. E allora? Certo molti altri compagni non hanno votato, alcuni hanno scelto il PCL o Sinistra Critica, ma appunto quando si perde in tutte le direzioni il problema sta non solo nell’assenza di credibilità del progetto ma anche nei gruppi dirigenti che lo hanno "coltivato".
Per evitare quindi ulteriori fughe verso un vicolo definitivamente "cieco", ricordiamo con "buon senso" che l’Arcobaleno non era l’unica scelta possibile e mettiamo davvero in campo tutte le nostre energie per ripartire con una opzione realmente anticapitalista contro l’americanizzazione della politica, riconoscendo quindi la necessità di essere totalmente alternativi al PD.
Una nota positiva dopo il disastro dell’Arcobaleno è l’importante appello per l’unità dei comunisti. Positivo perché va incontro all’esigenza di un confronto rapido e necessariamente pubblico tra le realtà della sinistra anticapitalista in Italia. L’appello sarà ancor più efficace se invece di ripiegarsi su una pure sacrosanta ricerca di identità cercherà di costruire una controtendenza organizzata e coerente, senza sottrarsi in alcun modo a rivedere le contraddizioni accumulate e non risolte in questi ultimi vent’anni.
In tal senso una riflessione approfondita la merita la questione dell’Europa,dove la borghesia, soprattutto dopo l’unificazione tedesca e gli accordi di Maastricht, si è mossa consapevolmente e in modo organizzato per realizzare il suo progetto. E’ intervenuta con forza e determinazione in tutti gli aspetti essenziali dell’economia e della società. Ha dedicato grande attenzione alla questione della formazione e dell’e- ducazione, con la «strategia di Lisbona» e con le successive direttive nel campo della formazione. Ha regolamentato la concorrenza, con tutti i sistemi di authority e di garanti, è intervenuta sui contratti di lavoro, chiedendo piena concorrenza tra i lavoratori e flessibilità.
Non ha respinto brutalmente gli immigrati, ma ha richiesto un disciplinamento e una loro integrazione subordinata all’interno della UE. Culturalmente puritana, questa borghesia preferisce da sempre una certa regolamentazione (in taluni casi fino all’eccesso della definizione degli standard di alcune produzioni o delle norme di sicurezza), piuttosto che il capitalismo da giungla. In questo senso il modello di capitalismo europeo è piuttosto distante da quello statunitense. Questo modello fu in fondo ben espresso da Prodi nel suo libro sull’Europa di qualche anno fa, in cui coniava la formula del «liberismo temperato».
Il nucleo storico della grande borghesia europea, quello che ha cercato di tessere le fila del progetto di costruzione europea, con la brusca accelerazione dell’ingresso di dodici nuovi Paesi tra il 2005 e il 2007 (di cui ben dieci appartenenti all’ex blocco socialista), si è mossa e si muove lungo direttrici di prudente e controllato sviluppo capitalistico, teme i grandi sconvolgimenti, adopera la BCE come strumento importante di controllo dell’inflazione, vuole bilanci in pareggio (i parametri di Maastricht). La borghesia europeista si fonda ancor oggi più sul capitale industriale che non sul capitale della speculazione finanziaria, che però avanza fortemente. Essa mira a fare dell’Europa un’area stabile (una sorta di Repubblica Federale Tedesca allargata…) esente da tempeste monetarie e finanziarie. Le borghesie tedesca e francese – con il Benelux – intendono lasciarsi alle spalle il secolo dell’instabilità, dell’inflazione selvaggia, della disoccupazione incontrollabile, che potrebbero favorire ondate di protesta o la ricomparsa di fenomeni di tipo populista e anche nazifascista. La politica del capitale europeo è limitatamente aggressiva, con una politica militare moderata ma in crescita. È una borghesia che vuol dominare serenamente, "pacatamente" seduta sul suo capitale. La tempesta maggiore che essa ha attraversato è stata il crollo dei Paesi dell’Est con il disfacimento di Stati e le guerre jugoslave degli anni Novanta. Ma, pur tra incertezze ed errori, in particolare in Jugoslavia, essa è riuscita, dopo un quindicennio, ad assorbire gli Stati dell’Europa orientale, al punto da imporre a tutte le
loro econo- mie una transizione regolamentata secondo i parametri monetaristi di Maastricht. Senza particolari colpi di teatro, la borghesia europeista è riuscita ad affrontare la crisi più grave del secondo dopoguerra, a irreggimentare lo sconquasso delle società dell’europa orientale, rendendo attraente la prospettiva dell’ingresso nella UE. A tutti i candidati impone il diritto della UE e le sue regole.
Tra queste regole si è da tempo insinuato un anticomunismo che ha recentemente portato alla messa fuorilegge dell’organizzazione giovanile dei comunisti cechi (il terzo partito in quella nazione), all’incriminazione dei dirigenti del Partito comunista ungherese e alla legge vergogna con cui il corrotto governo polacco obbligava all’autodenuncia i cittadini che avessero avuto incarichi statali nel periodo del socialismo reale. (Il momento più drammatico della crisi europea è stato quello dell’annessione della Germania Est, che i soci europei hanno dovuto digerire, accettando di pagarne i costi).
Tuttavia questo modello di liberismo temperato potrebbe trovarsi oggi di fronte a scelte drammatiche e a imprevedibili scossoni sociali. La borghesia europeista è finora riuscita a promuovere sviluppo. Paesi come l’Irlanda e la Spagna hanno conosciuto forti ritmi di crescita grazie agli investimenti europei. È riuscita a integrare aree diverse. Ha imposto degli standard nella formazione, nei brevetti, nella sicurezza dei prodotti, ha regolamentato il mercato. Insomma la burocrazia di Bruxelles ha svolto benino il suo lavoro… Ma ora diventerà tutto più difficile.
Sul piano della politica internazionale, la borghesia eu ropea è interessata alla penetrazione imperialistica in tutte le aree del pianeta, e le sue pallottole sono i capitali, la tecnologia e il mercato, e non ancora la guerra aperta e diretta. Essa partecipa con forze di stabilizzazione delle aree in conflitto, ma non intende sviluppare – perché non ne ha ancora la struttura –il militarismo classico. Piuttosto essa ha bisogno di un esercito di pronto intervento in tutto il mondo – capace di schierarsi nel giro di ventiquattro ore con 60.000 uomini ben addestrati ed equipaggiati – per imporre stabilità.
Essa è sostanzialmente estranea alle vecchie forme di colonialismo, cioè di occupazione diretta di un territorio, di cui si assume l’amministrazione. Essa è interessata alla stabilità e al controllo, che intende imporre magari anche con la forza delle armi. Per la sua struttura economica attuale, la UE non ha nella guerra la soluzione per la crisi economica, preferisce la partecipazione a missioni «di pace» che puntano a una pressione militare sul tipo della missione in Libano. In ciò essa diverge dagli USA, ma ne è speculare rispetto alla scelta di comando. La grande borghesia europea ha cercato di costruire il suo potere economico e politico sviluppando il ceto medio, per averlo come alleato contro l’insorgenza del proletariato.
Al capitale europeo preme la stabilità sociale e questa può essere solidamente garantita da un ceto medio piuttosto soddisfatto della sua condizione, in modo da divenire calamita anche per la piccola borghesia e il proletariato. Il modello ideale di rapporti sociali della borghesia europea è la naftalina, la decongestione del conflitto, il sindacato corporativo e consociativo.
L’esplosione sociale va evitata e, se non è possibile, isolata, chiusa da un cordone sanitario.
Non a caso i modelli vincenti di relazioni sociali e politiche nella UE sono stati quello democristiano e quello socialdemocratico, spesso complementari. Si tratta di un riformismo o liberismo temperato, di un gradualismo di una borghesia che aborre l’estremizzazione del conflitto, che è disponibile alla concessione untuosa e fumosa, che preferisce vincere per governare a lungo piuttosto che stravincere mettendo totalmente in ginocchio l’avversario di classe. Che va invece narcotizzato.
Da queste idee, da queste progettualità nasce in Italia il Partito democratico. L’Europa si muove come se fosse un’isola relativamente felice, al riparo dalle prossime tempeste che stanno per scatenarsi. Si è allargato il suo mercato interno, il suo PIL cresce poco, ma stabilmente, il conflitto sociale è limitato e regolamentato, nessuno scossone politico è all’orizzonte e la BCE governa la moneta e fronteggia la moderata inflazione con un contenuto aumento dei tassi di sconto. L’euro tiene e il tasso di cambio col dollaro è sopra quota 1,50. Per la borghesia europeista ritorna la questione di trasformare in un vero e proprio Stato quella che è oggi qualcosa di più di un’unione monetaria e doganale, ma molto meno di una nazione che possa intervenire sull’arena internazionale con una propria politica estera.
Il progetto di trattato per una Costituzione europea è stato respinto dalla Francia e dall’Olanda nelle uniche consultazioni popolari referendarie che si sono svolte. Era pretenzioso e farraginoso, sostanzialmente neoliberista. Era l’espressione più autentica del volto del capitale europeista, dei freddi «gnomi» di Bruxelles, custodi della stabilità monetaria, della regolamentazione del conflitto, del controllo sociale. Manca a questa Europa una legittimazione popolare. Nonostante la UE sia fortemente presente nella economia e nelle regolamentazioni, nonché nella scuola e sanità, essa è distante anni luce dai cittadini che in essa non si riconoscono. È uno «strano animale». La grande borghesia europea – al pari dei moderati nel Risorgimento italiano – vuole realizzare il mercato nazionale ma senza l’apporto delle masse, ritenute pericolose. Tutto si svolge nelle segrete stanze della burocrazia euro- peista, ma così non si costruisce certo un popolo europeo. Tutti gli Stati moderni sono nati da una guerra o da una insurrezione nazionale, da una rivoluzione. La UE nasce fredda, con accordi diplomatici tra capi di Stato. Le manca «l’anima del popolo"!
Come si collocano i comunisti di fronte all’Unione europea? Occorre prendere lucidamente atto che la costruzione europea non è stata il prodotto di una spinta progressiva delle masse, ma il risultato di accordi di vertice delle diplomazie occidentali, guidate dal grande capitale industriale e finanziario. Questa UE è l’unione dei capitali, voluta dai capitali, molto meno o nient’affatto l’unione dei popoli.
Sulla base di ciò, alcuni partiti comunisti ed anticapitalisti sono critici, altri si battono decisamente contro la UE, altri ancora sono per un recupero dello Stato-nazione, unico a essersi costituito – generalmente – sulla base di un movimento nazionale e popolare.
La politica dei comunisti nei confronti della UE potrebbe essere analoga a quella che essi hanno nei confronti della grande industria: non ne propongono la distruzione luddista, ma il rovesciamento della sua direzione. All’Europa dei capitali va contrapposta l’Europa dei popoli, che bisogna costruire analizzando però gli attuali rapporti di forza politici nei ventisette Paesi europei, così favorevoli alle destre e ai riformisti borghesi, quindi bisognerà impegnarsi in questa fase, almeno in Italia , ad un lavoro di forte contrasto alle politiche di unità comunitaria.
La democrazia partecipata e il conflitto di classe sono la nostra bandiera e dobbiamo quindi estendere i collegamenti e l’agire di classe dei comunisti in tutto il continente. E’ ormai irrinunciabile una forma di consultazione e coordinamento tra i comunisti, a partire dall’Europa. Non tanto per creare –sic et simpliciter- una nuova Internazionale Comunista, ma in quanto il confronto e un punto di vista d’azione, condiviso tra i comunisti è un obiettivo oggi necessario e possibile da conseguire.
I punti principali dalla nostra riflessione, oltre all’impianto classico di critica al capitalismo mai così in crisi come oggi, proseguono ricordando quanto mai sia attuale la questione comunista, a partire dalla considerazione di chiusura "dell’anomalia del caso italiano". Per cui si passa dalla Bolognina del 1991, quando "un italiano su tre votava ancora comunista" al 2006, solo due anni fa, dove chi votava i due partiti comunisti era superiore ai 3 milioni di unità, ad oggi con l’apocalisse dell’arcobaleno.
Se non cominciamo da questo non riusciremo a spiegare ma nemmeno a raccontare gli ultimi due anni disastrosi di partecipazione al governo. L’applauso finale (bipartisan, nessuno escluso) a Mastella è stato paradigmatico di questa parabola non solo governista.
"Al Ministro della giustizia va tutta la solidarietà umana e politica per un atto di coerenza, di alto senso delle istituzioni e dello Stato " titolava infatti una agenzia Ansa del 16 gennaio alle ore 12.25 a nome di un gruppo comunista in Parlamento!!!
Quattro sono i punti essenziali su cui incentrare la nostra analisi ed il nostro impegno:
L’antimperialismo. Contro quello americano , quello dominante,, ma anche quello europeo, nascente. Per intenderci via le truppe dall’Afghanistan ma anche dal Libano.
Il mondo dei lavori dovrà essere al centro dell’iniziativa politica come dirimente asse della centralità del conflitto tra capitale e lavoro, senza per questo dimenticare le forme vecchie e nuove di discriminazione di genere e di tendenza sessuale, nonché la battaglia per la laicità dello Stato.
La necessaria e totale alternatività al PD, come conseguenza all’analisi per cui questo partito, nell’americanizzazione della politica, è il più funzionale ai poteri forti, caratterizzato come è nella narcotizzazione e conseguente neutralizzazione del conflitto di classe.
La formula dell’appello ai comunisti, a tutti i comunisti ovunque collocati, senza alcuna preclusione. Tutti un passo indietro per costruire una direzione collettiva protesa ad un vero ricambio sostanziale e generazionale.
Infine, ma non per questo meno importante, serve ricordare che, con la vittoria della destra, le classi dominanti del nostro Paese, nell’affrontare le crisi di sovrapproduzione capitalistica e l’accesa competizione internazionale, stanno lavorando per costruire un sistema in cui ogni spazio residuo di agibilità politica venga annientato in una sorta di ridimensionamento degli ambiti della democrazia formale e di entrata in una nuova "democrazia autoritaria", che mira a distruggere definitivamente lo Stato sociale e cioè a colpire i disoccupati, l’assistenza , i pensionati, le lotte per la casa, le risorse per la disabilità.
Da una parte la formazione del partito democratico, dall’altra l’accettazione definitiva della concertazione da parte dei vertici confederali per costituirsi, in quanto interlocutore sindacale affidabile ed unico, al tavolo con governo e padronato.
In questo quadro si evidenziano i problemi relativa ad un controllo sempre più pervasivo del mondo della comunicazione di massa, asservito non tanto al Berlusconi politico, quanto al modo di essere e pensare "berlusconiano", che sta diventando il senso comune di larghissime masse, senza più esser contrastato "da un pensiero altro". Un Berlusconi che vince nella politica, ma che stravince nel senso comune di massa con disvalori i cui effetti sono sotto gli effetti di tutti.
Tali politiche passano anche inevitabilmente attraverso scelte militari, poliziesche e repressive, con cui, nel panorama globale si accetta il ruolo imposto dall’imperialismo come "fase suprema del capitalismo" e, nel nostro paese, si tende a criminalizzare ogni barlume di opposizione sociale, alimentando le guerre tra poveri e sovradimensionando il pericolo della manodopera immigrata, nonché mantenendo inalterata la crisi ed il collasso del Mezzogiorno, ormai definitivamente in mano alle grandi organizzazioni criminali che sono spesso un tutt’uno con la finanza, l’economia e la politica.
Stabilità dei governi, politiche repressive della sicurezza e tavolo della concertazione sindacale saranno i punti del paradigma di "normalizzazione" reazionaria del paese. Tutto ciò che sarà al di fuori verrà considerato non compatibile o addirittura messo fuori legge. I primi a farne le spese saranno innanzitutto i movimenti di lotta che, nell’ultimo periodo hanno costituito l’unico punto di riferimento per una opposizione alle politiche antiproletarie sia dei governi di centrodestra che di quelli di centrosinistra.
Servirà poi una proposta forte in difesa della democrazia costituzionale. Rotto l’equilibrio democratico con l’introduzione del "maggioritario", ogni ulteriore scivolamento istituzionale che si allontani dal patto costituzionale, dovrà esser letto sempre come un attentato alla democrazia repubblicana. Maggioritari, doppi turni, sbarramenti, bipartitismi, presidenzialismi ecc. sono ferite insanabili alla democrazia nata dalla Resistenza. Il sistema parlamentare proporzionale con "una testa, un voto" deve essere la nostra barra su cui misurare ogni azione di modifica del quadro istituzionale.
Per ripartire serve innanzitutto un edificio ideologico all’altezza dei tempi.
La parola ideologia potrà disturbare e allora si parli di idee, di progetti, di fini e di simboli. Ma alla fine sempre qua dobbiamo arrivare.
Abbiamo bisogno di un progetto di racconto finalizzato per l’Italia, dobbiamo parlare alla maggioranza della popolazione, pur sapendo che saremo minoranza (ma mai minoritari) per un lungo periodo. E questo indipendentemente dagli appuntamenti elettorali, essendo in effetti necessario un progetto di "lungo-medio periodo", per ridare dignità alla pratica dell’anticapitalismo e progettualità concreta ad un comunismo inteso come utile socialmente da parte del nuovo proletariato,che è composto ormai dalla maggioranza della popolazione.
L’identità a cui facciamo riferimento è senza dubbio da ricercare nella storia di idee e di lotta del Partito Comunista italiano, ma non solo in questo partito. Molte altre formazioni politiche, anche se meno rilevanti, di orientamento comunista, operaista e della nuova sinistra, per non parlare della originale esperienza di Rifondazione comunista, hanno dato un contributo di idee e di battaglie importantii. Detto questo, non possiamo però rinunciare ad una seria ed ordinata lettura del ‘900, che esalti le elaborazioni e le conquiste raggiunte, ma individui anche, nel quadro di riferimento storico, le ragioni oggettive e soggettive per cui i comunisti in Italia si trovano nelle condizioni attuali. Solo così si eliminerà il rischio di realizzare un identitarismo residuale interessato a vivere di una rendita ormai ad esaurimento. Se ciò avverrà nell’impatto con il conflitto di classe, sarà nuovamente credibile un partito comunista, il cui ultimo fine resta il rivoluzionamento dei rapporti sociali di produzione per una società senza sfruttamento fatta di liberi ed eguali.
Saremo giustamente diffidenti verso chi parla delle prossime scadenze elettorali come solo obiettivo da cui ripartire. E’ "buona pratica" evitare un elettoralismo tanto miope quanto inefficace. Sia benvenuta dunque la dura lezione dell’Arcobaleno se si capisce che non è possibile cambiare semplicemente con un altro schema elettorale, ma che bisogna invece mettere in campo una sfida strategica.
La "confusione" di esperienze politiche, movimenti, reti ed associazioni devono trovare un punto, uno spazio, magari inedito di organizzazione. Si è partiti da un appello per l’unità dei comunisti, lo si allarghi agli anticapitalisti, agli antagonisti, a chi vuole "superare lo stato di cose presente", meglio se giovane e privo di "incrostazioni" politiche .
Parafrasando Lenin, dobbiamo offrire un punto di vista comunista sulle questioni decisive e organizzare una forza in grado di farlo marciare. Ci saranno i congressi dei Comunisti italiani e di Rifondazione, ci sono gli appuntamenti di riflessione di altri comunisti e di altri anticapitalisti… Ci vorrà tempo e fatica. Abbiamo bisogno di tutte e tutti voi! Della vostra intelligenza, della vostra forza, del vostro impegno, della vostra creatività, insomma abbiamo bisogno di voi!!
Il nuovo partito comunista dovrà essere il partito del nuovo proletariato con profondità di principi, con lezioni antiche di "costume", creatività e forza organizzata, autorevolezza nell’analisi e nella proposta. In una parola, "alzare il tiro" per ricostruire verso di noi una vera fiducia "proletaria". Proletaria per ridare senso e identità alla nostra azione. Proletaria per appartenenza e per scelta. Proletaria, appunto!!

mercoledì 14 maggio 2008

IL COMITATO CENTRALE DEI COMUNISTI ITALIANI

dal sito di Marco Rizzo www.marcorizzo.eu

La relazione introduttiva e le conclusioni del segretario Diliberto, così come tutti gli interventi saranno pubblicati su La Rinascita in edicola il 16 maggio.
Nella relazione, parlando del documento congressuale, il segretario Diliberto ne ha proposto l’inemendabilità. Durante il corso del dibattito questa impostazione ha ricevuto consensi ma anche numerose contrarietà, essendo a questo punto il terzo congresso in cui si presenterebbero alla discussione documenti “bloccati”. Per evitare una spaccatura su questo punto Diliberto ha accettato di spostare questa scelta alla prossima riunione del Comitato Centrale in cui verrà presentato il documento congressuale ed in cui si deciderà appunto su emendamenti o eventuali documenti alternativi.

Di seguito, l’intervento e la dichiarazione di voto di Marco Rizzo:
Ricordate quante volte si è detto “bisogna far così perchè sennò arriva Berlusconi”, “dobbiamo accettare queste scelte del governo Prodi altrimenti vince di nuovo Berlusconi”. Con questa linea del “meno peggio” alla fine Berlusconi è arrivato e ha stravinto! Inoltre mentre Berlusconi non si era ancora neanche seduto sulla poltrona di Palazzo Chigi già la Cgil accettava la cancellazione della contratto nazionale! Ora che la “nave” della sinistra è stata portata al naufragio, stiamo cercando di ricostruire una “zattera”. Per riuscire a farle prendere il mare credo bisogna fare una vera analisi su cosa è successo in questi ultimi vent’anni in cui si è tentato di tenere aperta la “questione comunista” in una dinamica (rivelatasi poi inadeguata e compromissoria) nei confronti dei governi di centrosinistra, in particolar modo con quello di Prodi… Non sono d’accordo col compagno Diliberto quando, nella scorsa riunione di direzione, ha evidenziato che l’Arcobaleno era “l’unica scelta possibile”. Certo, a pochi giorni dalla presentazione delle liste, sarebbe stato molto difficile ottenere un qualche risultato con la sola “falce e martello”, ma altra cosa sarebbe stata se, ad esempio, durante la vicenda dell’Afghanistan, del TFR o delle pensioni e del welfare, avessimo “sfilato” la nostra compagine dal governo. Lì la nostra “base sociale” avrebbe capito. Invece si è finito per scegliere di applaudire Mastella e, per non fare polemica non dico nomi, ancora dirigenti del nostro partito lo hanno definito “uomo di stato con alto senso delle istituzioni”. Poi Mastella se n’è andato e tutto quel “castello di carte” è crollato mentre la nostra gente ci voltava, non proprio a torto, le spalle. Ora serve un congresso vero, aperto alla discussione. In tal senso sarebbe un profondo errore presentare un documento “blindato” senza la possibilità di emendamenti. Nel caso fosse invece così, il gruppo dirigente del partito si assumerebbe l’alto e arduo impegno di un documento davvero unitario che sappia, ad esempio, puntualizzare la nostra totale alternatività al partito Democratico e sappia avere come linea strategica la costituente dei comunisti, la cui percezione all’esterno potrà verificarsi appieno solo evitando, ad esempio, di fare gruppi dirigenti classicamente definiti e definitivi (segreteria, direzione, comitato centrale, ecc.), ma invece gruppi di direzione nazionali e locali “transitori” per chiarire, senza incertezze, la disponibilità a costruire assieme a tutte le comuniste ed i comunisti, ovunque collocati, un nuovo partito, condizione anch’essa indispensabile per ricostruire in Italia una sinistra anticapitalista.
Dichiarazione di voto:
Voto favorevolmente e con soddisfazione la proposta del segretario Diliberto di rinviare le modalità del documento congressuale (inemendabilità o meno, documento unico o alternativi) al prossimo comitato centrale quando lo stesso verrò presentato, anche perchè le questioni procedurali e organizzative sono le questioni della politica e della democrazia della politica. Sono inoltre positavamente colpito dalla discussione che Diliberto ha aperto nelle sue conclusioni sulla futura forma partito, anche in merito al “centralismo democratico” per verificare le questioni spesso citate di eventuali tendenze od anche di possibili “frazionismi di maggioranza”.

domenica 4 maggio 2008

BERTINOTTI STA CON LE PRINCIPESSE, IO INVECE VOGLIO SPAVENTARLE!






Dal Corriere della Sera di sabato 3 maggio 2008, pag. 12



Milano- Conservo nel portafoglio un ritaglio, aspetti un pò, l’ho letto così tanto che quasi non si distingue più, ecco…”E’ essenziale la sfera delle connessioni problematiche, che sola può rompere la staticità delle culture politiche di appartenenza“…
Eh?
Appunto: ma che diavolo vuol dire?! E l’ha scritto Franco Giordano sulla prima del Manifesto. Ci credo che i giovani proletari delle periferie diventano fascisti! I comunisti sono questa roba qua?
Marco Rizzo, eurodeputato del PdCI, ha passato il I Maggio a maltrattare (verbalmente) l’intero Arcobaleno: da Bertinotti, “basta con la sinistra al cachemire!”, al “poeta del nulla” Vendola. E ora lancia la “costituente comunista” per “superare” Prc e PdCI.

Ma cos’ha contro Bertinotti?
E’ il concentrato di ciò che negli ultimi vent’anni ha distrutto la sinistra.
Addirittura?
Ma si, la critica indifferenziata al Novecento, al comunismo e non ai suoi errori, il disastro delle periferie, la perdita dell’identità proletaria…
E lei vuole recuperarla?
Certo! Il conflitto capitale-lavoro, seppure aggiornato e arricchito. Io mi sono laureato ma non dimentico d’essere nato in un ingresso, di aver avuto un papà operaio. Bertinotti poteva rivendicare le sue esperienze…
E invece?
Stavo male a vederlo, una nuance al mattino, un’altra la sera, pareva la collezione autunno-inverno. No, non se ne può più. Io voglio spaventarle, le principesse! Voglio fare loro paura!
Quindi che succederà?
Che abbiamo ottenuto dai governi dal ‘94 ad oggi? Zero. Basta dire che Veltroni non ci vuole: siamo noi a non volere lui. Essere totalmente alternativi al Pd.
Per fare cosa?
Superare i partiti attuali che si sono mostrati fallimentari. E ripartire dalla falce e martello, dai conflitti di classe, da un nuovo partito comunista fatto di tutti i comunisti che vogliono superare radicalmente questa società. Un partito collegiale e senza leadership, perchè la leadership è di destra.
Gian Guido Vecchi

martedì 22 aprile 2008

APPELLO ALL'UNITA' DEI COMUNISTI: NON CI SIAMO...ECCO LE NOSTRE RAGIONI

Di fronte alla catastrofe elettorale del cartello Sinistra Arcobaleno, non è naturale che si assista allo spettacolo indecoroso che sta andando in scena. In un altro Paese i responsabili di un tale scempio sarebbero immediatamente scomparsi dalla scena politica.
In Italia e in Molise, invece, e particolarmente a sinistra, vige il curioso costume per cui nessuno è mai responsabile di nulla, la colpa è sempre di imprecisati “altri” e, quindi, dopo ogni catastrofe, ci si ripresenta sulla scena pubblica, al massimo con l’offerta di un capro espiatorio.
L’unico capro espiatorio della sinistra radicale italiana, di fatto è stato Fausto Bertinotti. Degli altri responsabili (Diliberto, Mussi e Pecoraro Scanio), invece, si sono perse le tracce. Siamo di fronte ad una pura operazione politica di riciclaggio, tesa a speculare sul comprensibile sgomento di migliaia di attivisti e militanti.
Facendo leva su questo sgomento, rispettabili compagni provenienti dal mondo del lavoro e della cultura, nei giorni scorsi, hanno lanciato un appello all’unità dei comunisti “ovunque collocati”, partendo dai militanti e dai dirigenti del PRC e del PdCI. Non passa che qualche ora dal lancio di quell’appello che arriva l’adesione della Segreteria del PdCI, cioè di uno dei gruppi dirigenti compromesso fino ai capelli nella catastrofe della sinistra parlamentare.
In un Paese normale, una tale adesione verrebbe immediatamente rispedita al mittente. Ma non siamo in un Paese normale, siamo nella terra del trasformismo, degli antifascisti che si rivelano tali solo dopo la certezza della vittoria della Resistenza. Siamo nel Paese, del resto, dove appare naturale che un signore che è stato un funzionario stipendiato per decenni dal più grande Partito Comunista occidentale dichiari candidamente di non essere mai stato comunista. Eppure, in quello che sta avvenendo in questi giorni, c’è qualcosa di esagerato anche per un Paese come l’Italia. Di fronte a quello che è successo negli ultimi anni, e di cui il voto del 13 aprile è stato conseguenza, il tentativo di addossare tutte le responsabilità al solo Bertinotti appare grottesco.
La sinistra e i “comunisti” sono stati puniti dall’elettorato, cioè dal popolo, semplicemente perché hanno tradito anche le sue aspettative più moderate. Il governo sostenuto dai “comunisti” ha portato le spese militari italiane al più alto livello dalla Seconda Guerra Mondiale; ha ritirato le truppe di occupazione dall’Iraq, ma solo perché lo aveva già deciso il governo uscente di centrodestra, e in compenso le ha aumentate, in numero e potenza degli armamenti, in Afghanistan; ha inviato un nuovo contingente in Libano, ha mantenuto ed implementato tutti gli accordi con Israele, a partire da quello per la cooperazione militare; ha mantenuto l’embargo genocida contro i Palestinesi di Gaza, colpevoli di resistere alla guerra di sterminio israeliana; ha scippato la liquidazione ai lavoratori, per regalarla alle manovre della speculazione finanziaria; ha prodotto una controriforma del welfare che Reagan e la Thatcher nemmeno si sognavano; ha confermato tutti i privilegi fiscali del Vaticano, a cominciare dall’esenzione dall’ICI; non ha prodotto un solo passo avanti sul terreno dei diritti civili, a partire dal mancato riconoscimento delle unioni di fatto; ha perseguitato i più deboli, come gli immigrati, non solo mantenendo la vergogna dei CPT, ma addirittura promulgando un decreto (quello originariamente detto “antiromeni”) che sembra scritto da Le Pen. Tutto questo è stato messo in atto dal Governo Prodi e nessuno dei partiti della sinistra “radicale” ha mai votato contro. Nessuno, nemmeno il PdCI.
Di fronte a questa evidenza, non ci sono appelli che tengano, se non si dice con chiarezza che si volta pagina e che, oltre al capro espiatorio, si escludano tutti i responsabili della catastrofe; non è possibile che ci siano gruppi dirigenti nazionali e locali, buoni per tutte le stagioni. Troppo facilmente ci si dimentica delle scelte strategiche compiute e, ancor di più, dei disastrosi risultati ottenuti.

venerdì 18 aprile 2008

BUON 25 APRILE ITALIA


L'Associazione Per la Costituente Comunista del Molise aderisce all'appello "Comunisti, unitevi! Appello agli orfani dell’Arcobaleno"

COMUNISTE E COMUNISTI: COMINCIAMO DA NOI

Dopo il crollo della Sinistra Arcobaleno, ci rivolgiamo ai militanti e ai dirigenti del Pdci e del Prc e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia
Siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale. Abbiamo storie e sensibilità diverse: sappiamo che non è il tempo delle certezze. Abbiamo il senso, anche critico, della nostra storia, che non rinneghiamo; ma il nostro sguardo è rivolto al presente e al futuro. Non abbiamo nostalgia del passato, semmai di un futuro migliore. Il risultato della Sinistra Arcobaleno è disastroso: non solo essa ottiene un quarto della somma dei voti dei tre partiti nel 2006 (10,2%) - quando ancora non vi era l’apporto di Sinistra Democratica - ma raccoglie assai meno della metàdei voti ottenuti due anni fa dai due partiti comunisti (PRC e PdCI), che superarono insieme l’8%. E poco più di un terzo del miglior risultato dell’8,6% di Rifondazione, quando essa era ancora unita. Tre milioni sono i voti perduti rispetto al 2006. E per la prima volta nell’Italia del dopoguerra viene azzerata ogni rappresentanza parlamentare: nessun comunista entra in Parlamento. Il dato elettorale ha radici assai più profonde del mero richiamo al “voto utile”:risaltano la delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l’emergere in settori dell’Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell’autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anticapitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito Democratico e ad una logica di alternanza di sistema.
E’ giunto il tempo delle scelte: questa è la nostra. Non condividiamo l’idea del soggetto unico della sinistra di cui alcuni chiedono ostinatamente una “accelerazione”, nonostante il fallimento politico-elettorale. Proponiamo invece una prospettiva di unità e autonomia delle forze comuniste in Italia, in un processo di aggregazione che, a partire dalle forze maggiori (PRC e PdCI), vada oltre coinvolgendo altre soggettività politiche e sociali, senza settarismi o logiche auto-referenziali. Rivolgiamo un appello ai militanti e ai dirigenti di Rifondazione, del PdCI, di altre associazioni o reti, e alle centinaia di migliaia di comuniste/i senza tessera che in questi anni hanno contribuito nei movimenti e nelle lotte a porre le basi di una società alternativa al capitalismo, perché non si liquidino le espressioni organizzate dei comunisti ed anzi si avvii un processo aperto e innovativo, volto alla costruzione di una “casa comune dei comunisti”. Ci rivolgiamo:
-alle lavoratrici, ai lavoratori e agli intellettuali delle vecchie e nuove professioni, ai precari, al sindacalismo di classe e di base, ai ceti sociali che oggi “non ce la fanno più” e per i quali la “crisi della quarta settimana” non è solo un titolo di giornale: che insieme rappresentano la base strutturale e di classe imprescindibile di ogni lotta contro il capitalismo;
-ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale, nella consapevolezza che nel nostro tempo la lotta per il socialismo e il comunismo può ritrovare la sua carica originaria di liberazione integrale solo se è capace di assumere dentro il proprio orizzonte anche le problematiche poste dal movimento femminista;
-ai movimenti contro la guerra, internazionalisti, che lottano contro la presenza di armi nucleari e basi militari straniere nel nostro Paese, che sono a fianco dei paesi e dei popoli (come quello palestinese) che cercano di scuotersi di dosso la tutela militare, politica ed economica dell’imperialismo;
-al mondo dei migranti, che rappresentano l’irruzione nelle società più ricche delle terribili ingiustizie che l’imperialismo continua a produrre su scala planetaria, perchè solo dall’incontro multietnico e multiculturale può nascere - nella lotta comune - una cultura ed una solidarietà cosmopolita, non integralista, anti-razzista, aperta alla “diversità”, che faccia progredire l’umanità intera verso traguardi di superiore convivenza e di pace. Auspichiamo un processo che fin dall’inizio si caratterizzi per la capacità di promuovere una riflessione problematica, anche autocritica. Indagando anche sulle ragioni per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della “rifondazione comunista” non sia stata capace di costruire quel partito comunista di cui il movimento operaio e la sinistra avevano ed hanno bisogno; e come mai quel processo sia stato contrassegnato da tante divisioni, separazioni, defezioni che hanno deluso e allontanato dalla militanza decine di migliaia di compagne/i.
Chiediamo una riflessione sulle ragioni che hanno reso fragile e inadeguato il radicamento sociale e di classe dei partiti che provengono da quella esperienza, ed anche gli errori che ci hanno portati in un governo che ha deluso le aspettative del popolo di sinistra: il che è pure all’origine della ripresa delle destre.
Ci vorrà tempo, pazienza e rispetto reciproco per questa riflessione. Ma se la eludessimo, troppo precarie si rivelerebbero le fondamenta della ricostruzione. Il nostro non è un impegno che contraddice l’esigenza giusta e sentita di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra che non rinunciano al cambiamento. Né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie.
Ma tale sforzo unitario a sinistra avrà tanto più successo, quanto più incisivo sarà il processo di ricostruzione di un partito comunista forte e unitario, all’altezza dei tempi. Che - tanto più oggi - sappia vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni, perché solo il radicamento sociale può garantire solidità e prospettive di crescita e porre le basi di un partito che abbia una sua autonoma organizzazione e un suo autonomo ruolo politico con influenza di massa, nonostante l’attuale esclusione dal Parlmento e anche nella eventualità di nuove leggi elettorali peggiorative.
La manifestazione del 20 ottobre 2007, nella quale un milione di persone sono sfilate con entusiasmo sotto una marea di bandiere rosse coi simboli comunisti, dimostra – più di ogni altro discorso – che esiste nell’Italia di oggi lo spazio sociale e politico per una forza comunista autonoma, combattiva, unita ed unitaria, che sappia essere il perno di una più vasta mobilitazione popolare a sinistra, che sappia parlare - tra gli altri - ai 200.000 della manifestazione contro la base di Vicenza, ai delegati sindacali che si sono battuti per il NO all’accordo di governo su Welfare e pensioni, ai 10 milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto il referendum sull’art.18.
Auspichiamo che questo appello – anche attraverso incontri e momenti di discussione aperta - raccolga un’ampia adesione in ogni città, territorio, luogo di lavoro e di studio, ovunque vi siano un uomo, una donna, un ragazzo e una ragazza che non considerano il capitalismo l’orizzonte ultimo della civiltà umana.
LE PRIME ADESIONI
Ciro ARGENTINO operaio Thyssen Krupp - Mariano TREVISAN comitato No Dal Molin Vicenza - Piero CORDOLA comitati No TAV Val di Susa - Francesco BACHIS comitato sardo “Gettiamo le Basi” - Filippo SUTERA comitato NO PONTE Messina - Giovanni PATANIA comitato di lotta Alluvionati Vibo Valentia - C. BALLISTRERI- D. PAOLONE - G. MODIC - F. LISAI - M. PUGGIONI operai e delegati Fiat Mirafiori - Margherita HACK astronoma - Domenico LOSURDO filosofo - Gianni VATTIMO filosofo - Luciano CANFORA filologo - Angelo D’ORSI storico - Marco BALDINI conduttore televisivo - Raffaele DE GRADA comandante partigiano, storico dell’arte - Alberto MASALA scrittore – VAURO vignettista - Enzo APICELLA vignettista - Giorgio GOBBI attore - Michele GIORGIO giornalista de il Manifesto - Manlio DINUCCI saggista, collaboratore de il Manifesto - Bebo STORTI attore - Gerardo GIANNONE operaio RSU Fiat Pomigliano d’Arco - Wladimiro GIACCHE’ economista - Marino SEVERINI musicista, “La Gang” - STATUTO gruppo musicale - Wilfredo CAIMMI partigiano, medaglia d’argento al valor militare - Ugo DOTTI docente letteratura Università Pavia - Guido OLDRINI docente filosofia Università Bologna - Mario GEYMONAT docente filosofia Università Venezia - Mario VEGETTI professore emerito università Pavia - Andrea CATONE presid. centro studi transizione al socialismo - Alessandro HOBEL storico del movimento operaio - Federico MARTINO docente Diritto Università Messina - Stefano AZZARA’ docente filosofia Università Urbino - Fabio MINAZZI docente filosofia della Scienza Università Lecce - Sergio RICALDONE partigiano, consiglio mondiale per la pace - Wasim DHAMASH docente lingua e letteratura araba Università Cagliari - Gigi LIVIO storico del teatro - Teresa PUGLIATTI docente storia dell’Arte Università Palermo - Maria Luisa SIMONE pittrice - Delfina TROMBONI storica, femminista - Silvia FERDINANDES presid. centro interculturale nativi ed immigranti “ALOUAN” - AEROFLOT gruppo musicale - Francesco ZARDO giornalista e scrittore - Carlo BENEDETTI giornalista - Siliano INNOCENTI segret. circolo Prc Breda Ansaldo Pistoia - Domenico MORO economista - Giusi MONTANINI direttivo reg.le CGIL Marche - Alberto BALIA musicista - Hallac SAMI comitato di solidarietà con il popolo palestinese - Fabio LIBRETTI operaio, direttivo FIOM Milano - Antonello TIDDIA operaio, RSU Carbosulcis Carbonia Iglesias - Dario GIUGLIANO docente filosofia Accademia delle Belle Arti Napoli - Fabio FROSINI docente storia della filosofia Università Urbino - Albino CANFORA docente analisi matematica Università Napoli - Francesco SAVERIO de BLASI docente analisi matematica Roma - Franco INGLESE astrofisico - Vito Francesco POLCARO astrofisico - Adele MONICA PATRIARCHI docente storia e filosofia Roma - Helene PARASKEVAIDES filologa classica - Laura CHIARANTINI docente biochimica Università Urbino - Micaela LATINI docente storia letteratura tedesca Università Cassino - Nico PERRONE docente di storia dell’America, Università di Bari - Alfonso NAPOLITANO regista teatrale - Tiziano TUSSI comitato nazionale ANPI - Luigi Alberto SANCHI ricercatore CNRS, Parigi - Omar Sheikh E. SUAD mediatrice interculturale - Sergio MANES editore - Orestis FLOROS medico CPT - Massimo MUNNO “Luzzi Clan” curva sud Cosenza calcio - Rolando GIAI-LEVRA direttore “Gramsci oggi” on line - Cristina CARPINELLI centro studi problemi transizione socialista - Vittorio GIOIELLO centro ricerca Fenomenologia e società - Vito Francesco POLCARO primo ricercatore INASF - Adriano AMIDEI MIGLIANO regista e critico cinematografico - Renato CAPUTO docente storia e filosofia Università Roma - Emanuela SUSCA docente sociologia Università Urbino - Alessandro VOLPONI docente filosofia Fermo - Maurizio BUDA operaio, RSU Iveco Torino - Giuseppe BRUNI operaio, RSU Magnetto Weels Torino - Mariano MASSARO delegato regionale ORSA Sicilia - Armando RUSSO operaio, RSU Bertone Torino - Luigi DOLCE operaio, Itca, Torino - Giovanni ZUNGRONE segretario FLM Uniti Torino - Ferruccio GALLO, Pino CAPOZZI operai, RSU Fiom Idea Institute Torino - Manola MAURINO RSU ASL 1, Torino - Roberto TESTERA operaio,Comau Torino - Pasquale AMBROGIO operaio, Frigostamp Torino - Nicola BORELLO operaio, RSU ItalCementi Vibo Valentia - Mirko CAROTTA dirigente sindacale Trentino Alto Adige - Paolo AMORUSO segretario SLC Caserta - Daniele ARCELLA, Antonio BELLOPEDE, Vincenzo MEROLA, Salvatore BRIGNOLA operai, RSU Ericsson Marconi Marcianise, Caserta - Mario MADDALONI operaio, RSU Filcem Napoletana Gas - Eugenio GIORDANO operaio, RSU Alenia Pomigliano D’Arco - Franco ROMANO operaio, RSU Filcams Napoli - Ilaria REGGIANI comitato precari Mantova - Franco BOSISIO operaio, RSU Sag Bergamo - Francesco FUMAROLA lavoratore Atesia Roma - Riccardo DE ANGELIS RSU Telecomitalia Roma - Federico GIUSTI RSU Comunedi Pisa

martedì 15 aprile 2008

BOCCIATO L'ARCOBALENO, LA PAROLA ORA TOCCA AI COMUNISTI

BOCCIATO L'ARCOBALENO, ORA LA PAROLA TOCCA AI COMUNISTI
E’successo! Berlusconi è tornato, anche grazie a Veltroni, mentre la sinistra scompare con un risultato disastroso e l’improbabile Arcobaleno è stato sonoramente bocciato dall’elettorato con il 3% senza raggiungere il quorum ne alla Camera dei Deputati ne al Senato, non ottenendo così alcuna rappresentanza istituzionale. E pensare che partiva, sulla carta (nelle elezioni del 2006) con il 10,2% alla Camera e l’11,6% al Senato (sommando i risultati di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi e addirittura senza “conteggiare” la Sinistra Democratica).Qualcuno potrà obiettare che quell’aggettivo “improbabile” poteva essere usato anche prima. Modestamente, alcuni di noi, tra cui il sottoscritto, lo avevano detto. La cattiva condotta della sinistra con il governo Prodi e il “tradimento” programmatico e ideale rispetto alla grandiosa manifestazione del 20 Ottobre, la cancellazione della “Falce e del Martello”, da molti auspicata da altri contrastata ma alla fine subita per necessità, un progetto politico privo di una “missione” e certo per nulla alternativo al Partito Democratico, le stesse modalità di scelta di adesione dei partiti (non un congresso, a volte neanche la riunione degli organismi dirigenti preposti) sono il racconto obiettivo di questa disavventura… Il problema, come sempre accade in politica,è però la questione della “percezione” di quello che stava accadendo, consapevolezza che certo non albergava non solo nella maggioranza dei gruppi dirigenti dei partiti della sinistra, ma anche in una considerevole parte dei militanti.Bertinotti, e quelli che lo hanno seguito pedissequamente, con l’eclettismo che li ha caratterizzati, sono riusciti a fare quello che neppure ad Occhetto era riuscito: distruggere la sinistra!Oggi ci vuole un nuovo inizio! Per ritrovare la fiducia nella parte del popolo che non si riconosce nelle disuguaglianze di questa società. Una opzione che passa necessariamente da una analisi approfondita di quello che accade in Italia e nel mondo. Proprio oggi, quando le contraddizioni del capitalismo –guerra e terrorismo, disuguaglianze sociali sempre più accentuate, collasso ambientale del pianeta- appaiono sempre più grandi. Proprio adesso, quando la nozione di “superamento del capitalismo” è più che mai attuale. Proprio ora appare evidente come la scelta comunista nel XXI secolo sia assolutamente sensata e necessaria.Dobbiamo riportare la fiducia nella nostra gente e, soprattutto, dobbiamo fare in modo che questa fiducia possa esser rimeritata.L’affermarsi del bipartitismo segna la crescente “americanizzazione” della politica. Si vuole chiudere “l’anomalia del caso italiano” dove, dal dopoguerra in poi, per oltre quarantanni, il più grande Partito Comunista d’Occidente, assieme ad un formidabile movimento operaio, pur non partecipando al governo, aveva fortemente condizionato la scena politica e sociale del nostro paese. Dalla scuola per tutti all’universalismo della prestazione sanitaria, dallo Statuto dei lavoratori al rifiuto della monetizzazione della salute sui luoghi di lavoro, innumerevoli sono state le conquiste che hanno modificato concretamente i rapporti di forza tra le classi in Italia in quel periodo. Una funzione progressiva del conflitto tra lavoro e capitale che “trainava” anche le vittorie sui “diritti individuali”, dal divorzio all’aborto.Poi è arrivata la difficile stagione dal 1991 fino ad oggi, quando si è tentato di “tenere aperta” la “questione comunista”, provando a più riprese a modificare la realtà con la partecipazione, in modi diversi, ai governi del paese. E’ stato giusto “provare” I risultati sono sotto gli occhi di tutti: 1994 – coalizione dei “progressisti”, 1996 – “desistenza” con l’Ulivo, 1998 – divisione dei Comunisti, gli uni al governo, gli altri contro, 2001 – i Comunisti Italiani dentro l’Ulivo, Rifondazione Comunista fuori, 2006 – tutti e due i partiti comunisti al governo… Sono passati 14 anni e la nostra gente non si ricorda una conquista sociale o anche solo di “principio” che , in qualche modo giustifichi quelle modalità di rapporto coi governi . Nel frattempo , la “base sociale” della sinistra, la nostra base sociale, si restringeva sempre di più…Oggi dobbiamo interrogarci sul fatto che quel capitolo si è chiuso, tragicamente, con un risultato disastroso per tutta la sinistra. Bisogna ripartire da qui, considerando appunto che lo stare nel centrosinistra ha prodotto questi risultati. E solo un approccio miope potrebbe appellarsi al fatto che è Veltroni che ha voluto disfarsi della sinistra per riproporre in qualche modo un rinnovato quanto non augurabile rapporto col PD. Questo partito rappresenta infatti oggi (anche se non nella percezione di molti dei suoi militanti ed elettori) la migliore soluzione per i “poteri forti” che – scottati dal protagonismo reazionario e populista di Berlusconi- hanno ormai un evidente bisogno di una forza che sappia “cloroformizzare” il conflitto di classe e, al tempo stesso, “neutralizzare” qualunque evidente contraddizione. Il PD sarà, in sostanza, obbiettivamente funzionale a questo sistema capitalistico certo proteso alla massimizzazione dei profitti ma intelligentemente attento alla ricerca di una “pace sociale” che blocchi una qualunque risposta od organizzazione da parte delle classi popolari.Per questi motivi serve avviare da subito una riflessione analitica ed un processo organizzato che sappia essere per le classi subalterne un vero punto di riferimento.La questione comunista emerge oggi con prorompente evidenza, anche perché dove non vi sono partiti comunisti organizzati ed influenti nella società, come in gran Bretagna e stati Uniti, di fatto non esiste la sinistra.Lo stesso risultato elettorale ci dice che anche da noi senza il partito comunista la sinistra scompare.Un processo di costruzione che deve avere al centro la vicenda del lavoro, con tutte le sue attuali contraddizioni. Per riuscire a collegare con un “filo rosso” tutte quelle particolarità che oggi rendono lo sfruttamento del lavoro ancora più generalizzato che nel passato, dal lavoro dipendente ai ceti medi proletarizzati, dalle nuove forme di disoccupazione intellettuale alla precarizzazione permanente.Tre sono i cardini della discussione che, schematicamente, dovremmo affrontare: Una nuova riflessione e pratica dell’antimperialismo nell’era della globalizzazione capitalistica, sia nei confronti di quello americano, dominante, che di quello europeo, nascente.L’alternatività all’americanizzazione della politica e quindi al Partito Democratico, appunto per una alternativa di sistema e di società.Una nuova soggettività dei comunisti, cui possano partecipare tutte e tutti coloro che intendono impegnarsi per il superamento di questo modello di società, al di là delle attuali, e certo non autosufficienti, organizzazioni di appartenza. Un percorso che voglia sperimentare forme nuove rispetto alla politica attuale (critica ai processi di personalizzazione e incentivazione alla direzione collegiale, superamento della politica come mestiere, revocabilità degli incarichi di direzione sulla base della valutazione dei risultati ottenuti e molto altro ancora).Come vedete un nuovo inizio, per cui servirà l’intelligenza di tutti e l’impegno di ognuno.
DAL BLOG DI MARCO RIZZO

lunedì 14 aprile 2008

NEPAL: TRIONFO ELETTORALE IN NOME DI MAO

Primi risultati del voto: gli ex guerriglieri verso la maggioranza assoluta
Nepal, trionfo elettorale in nome di Mao
«Saremo una repubblica comunista»
Assemblea costituente Sconfitti i partiti principali del regno himalayano: presto l'addio del re


KATHMANDU (NEPAL) - I maoisti avrebbero ottenuto 61 seggi sui 108 già assegnati. E il trend si annuncia identico in tutte le circoscrizioni Dalla reincarnazione di Vishnù a un capo comunista che prende a modello Mao e i combattenti rivoluzionari di Sendero Luminoso in Perù. Basta questo per cogliere la portata del mutamento dopo le elezioni di giovedì scorso in Nepal. I primi risultati ieri davano per netta la vittoria del partito guidato dal 52enne Pushpa Kamal Dahal, meglio noto con il nome di battaglia: Prachanda, «Il terribile». «Un successo molto più ampio del previsto », dichiaravano ieri sera gli osservatori. I maoisti avrebbero ottenuto il controllo di almeno 61 seggi dei 108 nei distretti elettorali già scrutinati e sarebbero in testa anche in molti dei restanti.
Altri due partiti importanti, i marxisti-leninisti ed il centrista Congresso Nepalese, non sembra avessero superato sino a ieri sera i 16 seggi ciascuno. «Una svolta inaspettata. Sino a pochi giorni fa si pensava che la formazione di Prachanda sarebbe arrivata solo terza. Invece potrebbero persino guadagnare la maggioranza assoluta», ha osservato Lok Raj Baral, ricercatore al Centro di Studi Strategici di Kathmandu. La conseguenza immediata è di portata storica: la fine della monarchia dopo 238 anni di regno incontrastato su di una popolazione che supera i 27 milioni e in una regione-cuscinetto dove oggi più che mai pesano le sfide poste dalla crescita economica e politica di India e Cina. Gli esponenti maoisti sembrano infatti destinati a giocare la parte del leone tra i 601 membri dell'Assemblea costituente che dovrebbe riunirsi a breve.
ABOLIZIONE DELLA MONARCHIA - «L'eclissi della casa reale era inevitabile. Re Gyanendra ha praticamente firmato la sua deposizione nell'aprile 2006, quando dopo le grandi manifestazioni popolari di allora ha accettato di limitarsi ad un ruolo puramente cerimoniale e si è accordato con Prachanda per un percorso destinato a mettere ai voti una nuova costituzione. Presto, entro pochi mesi, l'Assemblea costituente voterà dunque l'abolizione della monarchia e l'avvio di una repubblica laica e comunista», ci dice per telefono dalla capitale nepalese Prateek Pradhan, direttore del quotidiano in lingua inglese The Kathmandu Post. Un'evoluzione maturata comunque da almeno un decennio di turbolenze interne. Il malcontento contro la corruzione della casa reale e le sue ricchezze in uno dei Paesi più poveri dell'Asia sfociò infatti già nel 1996 con la crescita violenta della rivolta comunista. In 10 anni i morti sono stati almeno 13.000. Ma il colpo di grazia venne nel 2001, quando l'allora re Birendra e i membri della sua famiglia vennero trucidati nel palazzo reale. L'assassino venne identificato con il figlio del re, che poi si suicidò. Ma in Nepal molti sono convinti che l'ispiratore possa essere stato lo stesso Gyanendra. Un'ombra che ha screditato non poco la figura del monarca, considerato dalla tradizione indù locale come incarnazione diretta del dio Vishnù. Nel 2005 Gyanendra tentò quindi di imporre il proprio potere assoluto. Un un anno dopo fu però costretto dalle rivolte di piazza a trattare con i maoisti. Ma anche Prachanda potrebbe non avere vita facile. Le sue recenti aperture in chiave moderata all'economia di mercato sono viste con sospetto dalle ali più radicali. Già nel sud una dozzina di movimenti ultrarivoluzionari lo accusano di aver «capitolato al capitalismo» e minacciano nuove violenze.
Lorenzo Cremonesi

venerdì 11 aprile 2008

I COMUNISTI DI CASACALENDA ADERISCONO ALL'ASSOCIAZIONE



Gli iscritti di Casacalenda del Partito dei Comunisti Italiani, presenti alla riunione di domenica 6 aprile presso i locali della sezione, nel prendere atto della grave crisi democratica che attraversa il PdCI a livello locale, con l’azzeramento “nei fatti” degli organismi dirigenti regionali democraticamente eletti nel Congresso, per altro mai riuniti; la nomina di un Commissario da parte della segreteria nazionale per la gestione delle elezioni politiche; il mancato rinnovo del tesseramento per il 2008; con decisione unanime, nell’esprimere solidarietà ai 13 componenti (la maggioranza) del Comitato Direttivo Regionale che nei giorni scorsi hanno rassegnato le dimissioni dal Comitato e dal Partito, dichiarano conclusa la propria esperienza politica nel PdCI. Gli stessi, comunque, ravvedendo la necessità di mantenere attiva una presenza politica e civile di sinistra nel proprio territorio, per non disperdere altrimenti un’importante patrimonio di uomini ed idee, hanno deciso di aderire all'unanimità alla associazione culturale “Per la Costituente Comunista”.
Per quanto attiene le elezioni politiche del 13 e 14 aprile si ritiene doveroso un appello a militanti e simpatizzanti ad un voto che rafforzi le formazioni di sinistra e della tradizione comunista, presenti in questa competizione (Sinistra Arcobaleno, Sinistra Critica, Partito Comunista dei Lavoratori).

mercoledì 9 aprile 2008

LA PRESENTAZIONE ALLA STAMPA











Nasce "Per la Costituente Comunista"

NASCE L’ASSOCIAZIONE POLITICO CULTURALE
“PER LA COSTITUENTE COMUNISTA”

Sarà presentata alla stampa, mercoledì 9 aprile 2008, alle ore 10.30 nei locali del Bar Centrale, in Piazza Vittorio Emanuele a Campobasso, l’Associazione Politico Culturale “Per la Costituente Comunista”.
Il movimento politico nato in Molise raggruppa donne e uomini che vogliono costruire una sinistra alternativa e anticapitalista per trasformare radicalmente l’attuale società.
Donne e uomini che recentemente hanno deciso di abbandonare la fallimentare esperienza politica maturata all’interno del PdCI per costruire una sinistra luogo dell’elaborazione politica e dell’iniziativa legata ai movimenti sociali, delle lavoratrici e dei lavoratori che mira alla riunificazione delle varie “anime comuniste”, perseguendo un progetto di modernizzazione capace di cambiare la qualità dello sviluppo, di realizzare una riconversione dell’economia correggendo i modelli di produzione e di consumo, unica via per una maggiore equità nel mondo attuale, passando attraverso una maggiore solidarietà e migliori possibilità di vita per le future generazioni .
Nel corso della conferenza stampa saranno resi noti gli organismi sociali, le finalità e gli obiettivi che l’associazione si propone.

Campobasso, 7 aprile 2008

STATUTO DELL'ASSOCIAZIONE

Statuto dell’Associazione politico-culturale
“Per la Costituente Comunista”


Approvato dall'Assemblea regionale del 1 aprile 2008

“Pensiamo che il Partito Comunista non si proclami ma si costruisca anche a partire dalle esperienze rivoluzionarie e del movimento operaio sviluppatesi nel secolo che sta alle nostre spalle. Per questi motivi, proponiamo a tutti i compagni e le compagne un percorso per la ricomposizione politica dei comunisti, nella consapevolezza che si tratta di un percorso lungo e difficile, ma indispensabile”.

1. Preambolo
Profilo politico e sociale dell’Associazione “Per la Costituente Comunista”

“Per la Costituente Comunista”, è una libera associazione di donne e uomini che vogliono costruire una sinistra alternativa e anticapitalista per trasformare radicalmente l’attuale società. Una sinistra luogo dell’elaborazione politica e dell’iniziativa legata ai movimenti sociali, delle lavoratrici e dei lavoratori che mira alla riunificazione delle varie “anime comuniste” perseguendo un progetto di modernizzazione capace di cambiare la qualità dello sviluppo, di realizzare una riconversione dell’economia correggendo i modelli di produzione e di consumo, unica via per una maggiore equità nel mondo attuale, passando attraverso una maggiore solidarietà e migliori possibilità di vita per le future generazioni . L’autogestione democratica e l’auto organizzazione dei soggetti in lotta sono i criteri fondamentali per progettare la trasformazione dell’esistente. La società che vogliamo è sinonimo di libertà; libertà dalla necessità e quindi dallo sfruttamento, dalla subordinazione sociale, libertà individuale, politica, sessuale, religiosa e culturale. Libertà di pensiero ma anche libertà dei corpi e quindi dell’autodecisionalità a partire dalle donne.
“Per la Costituente Comunista” è un’associazione antifascista e antirazzista che valorizza la democrazia diretta e partecipata, che lotta contro la guerra, la mercificazione dell’ambiente, per la riappropriazione sociale dei beni comuni e che favorisce un nuovo internazionalismo dei soggetti della trasformazione. Si richiama ai valori fondanti della resistenza e della Costituzione Italiana. Le linee fondamentali del Manifesto programmatico costituiscono il riferimento dell’iniziativa politica e sociale dell’Associazione.

2. Sede e logo
L’associazione non ha fini di lucro ed ha sede a Casacelnda (CB). Il logo dell’associazione “Per la Costituente Comunista” è rappresentato da due cerchi concentrici. Nel cerchio interno, su campo rosso, c’è una falce martello e stella di colore giallo. Tra il cerchio interno e quello più esterno campeggia la scritta: “ Per la Costituente Comunista “. Nella parte alta la dicitura “ Per la costituente” è di colore verde; la dicitura “ comunista” è in rosso.

3. Adesione
Possono aderire tutti/e coloro, uomini e donne, che condividono il preambolo e le linee fondamentali del Manifesto programmatico a prescindere dalla nazionalità, dall’etnia, dall’orientamento sessuale e religioso, che vogliono contribuire al progetto di costruzione dell’Associazione partecipando alle sue attività L’adesione avviene mediante la sottoscrizione di una tessera con il parere favorevole del coordinamento regionale. Per aderire a “Per la Costituente Comunista” bisogna aver compiuto 14 anni.

4. Organizzazione
“ Per la Costituente Comunista” è articolata territorialmente, in gruppi tematici, di lavoro, di iniziativa politica e sociale, dotati di una propria autonomia. I giovani e le donne possono costituire delle forme, dei luoghi, delle istanze politiche ed organizzative specifiche. I gruppi tematici,di lavoro, le istanze politiche e organizzative dei giovani e delle donne possono coordinarsi a livello provinciale e regionale. I gruppi territoriali, tematici, di lavoro e le forme organizzate dei giovani e delle donne sono aperti ai/alle non iscritti/e.
I singoli soci di ogni ambito territoriale possono organizzarsi in Sezioni Locali, la cui costituzione è decisa dai soci interessati, d’intesa con il Coordinamento regionale, nominandone un coordinatore locale.

5. Partecipazione
Gli/le iscritti/e hanno il diritto a partecipare alle attività, alle discussioni, alle decisioni dell’Associazione con piena libertà di fare proposte di discussione e di iniziativa.
Gli/le iscritti/e hanno diritto ad essere informati delle attività, delle discussioni e delle decisioni dell’Associazione. Le assemblee sono gli organi decisionali ai rispettivi livelli.
Partecipano all’assemblea provinciale tutte/i le /gli iscritte/i con diritto di parola e di voto. Le assemblee possono essere aperte ai/alle non iscritti/e.

6. Funzionamento
“Per la Costituente Comunista” è guidata da un funzionamento democratico che favorisce l’azione comune dei/delle iscritti/e, garantendo il diritto al dissenso interno e pubblico ad ogni livello.
Le assemblee sono, di norma, convocate almeno ogni mese o quando se ne ravvisi la necessità, dal coordinamento provinciale o da un terzo degli/delle iscritti/e.
Le riunioni del coordinamento sono valide se partecipa la maggioranza semplice dei/delle componenti.
Il coordinamento regionale elegge, quali organi dell’Associazione, il portavoce, il presidente, il tesoriere, il comitato esecutivo.
Va evitata la concentrazione di più incarichi nell’Associazione e istituzionali su singoli/e iscritti/e.

7. Organi dell’Associazione
Sono Organi dell’Associazione:
- Il Comitato Esecutivo;
- Il Portavoce;
- Il Presidente;
- Il Tesoriere.
Il Comitato Esecutivo assicura il funzionamento permanente dell’Associazione; svolge le funzioni di gestione politica ed organizzativa e ne cura la tesoreria. Può strutturarsi, al proprio interno, con una segreteria permanente all’interno della quale, fanno parte di diritto, il Portavoce, il Presidente, il tesoriere ed i soci rappresentativi delle diverse territorialità. In particolare: garantisce i rapporti con le associazione territoriali, sviluppa le relazioni istituzionali, propone ed organizza le iniziative pubbliche, discute ed approva le posizioni politiche dell’Associazione su questioni e temi urgenti, mantiene i collegamenti con le altre organizzazioni politico-culturali, sindacali e politiche. Predispone gli atti amministrativi, cura l’adesione l’organizzazione delle adesioni e, in particolare, l’anagrafe degli iscritti.
Il Portavoce è eletto dall’assemblea regionale ed esercita la funzione di direzione politica e di rappresentanza dell’Associazione. Ne assicura l’indirizzo unitario sulla base delle decisioni assunte dal Comitato Esecutivo.
Il Presidente è eletto dall’assemblea regionale ed ha funzioni di rappresentanza dell’Associazione. Svolge compiti di garanzia, convoca e presiede le riunioni del Comitato Esecutivo istruendo, d’intesa col Portavoce, l’ordine del giorno.
Il Tesoriere è eletto dall’assemblea regionale. E’ responsabile degli aspetti amministrativi e finanziari dell’Associazione.
8. Finanze
Il finanziamento dell’Associazione deve essere costituito, in forma prioritaria, dai contributi dei/delle iscritti e iscritte. Gli/Le eletti/e nelle istituzioni contribuiscono al finanziamento dell’Associazione nei modi stabiliti dal comitato esecutivo. Il tesoriere per l’amministrazione delle finanze, ogni anno, presenta al comitato esecutivo il bilancio consuntivo e preventivo che deve essere approvato da parte del comitato stesso.

9. Commissione di garanzia
Per ricomporre eventuali conflitti individuali e collettivi che dovessero verificarsi all’interno dell’Associazione, ad ogni livello, e per far rispettare le regole statutarie è eletta dall’assemblea una commissione di garanzia composta da tre compagni/e. I/le componenti della Commissione di Garanzia partecipano alle riunioni del coordinamento regionale con diritto di parola e voto consultivo.

9. Modifiche dello statuto
Lo statuto può essere modificato dall’Assemblea a maggioranza qualificata dei due terzi.

10. Norma Transitoria
Il presente Statuto può essere modificato a maggioranza semplice dalla prima assemblea regionale dopo quella costitutiva.